Fauno è il dio propizio (dal Latino faveo), per i Romani, è affine a Pan; è il genio benefico della campagna, del bestiame e dei monti; era il fecondatore delle greggi, il protettore dai lupi. Si diceva che di notte penetrasse nelle case e suscitasse cattivi sogni: era chiamato anche Incubus poiché si diceva che giacesse sopra le donne (dal Latino incubare, il cubiculum era la camera da letto).
Il Fauno dei Musei Capitolini
Prediceva il futuro tramite i sogni e i segni della natura (Fatuus deriva da Fari, parlare). A Fauno si associa Fauna, detta anche la Bona Dea o Maia, la dea che accresce i prodotti della terra e, quindi, la ricchezza degli uomini. Ad esso è associato Luperco. Fauno fu uno dei re Aborigeni, successore di Saturno e di Pico:
IL LUPERCALE
Luperco era una divinità pastorale, protettrice della fertilità che, nel tempo, fu assimilato alla figura di Fauno. Era il protettore del bestiame ovino e caprino dall'attacco dei lupi. Era anche un genio benefico dei monti. Fauno aveva anche una sorella Fauna, la Bona Dea, cioè colei che accresce i prodotti della terra e la ricchezza degli uomini.

I LUPERCALIA
I Lupercalia erano festeggiati dal 13 al 15 febbraio, culmine dell’inverno nel quale i lupi affamati si avvicinavano agli ovili minacciando le greggi. Secondo Plutarco erano riti di purificazione, d’altra parte Il mese di febbraio deriva dal Latino februare, purificare. Per Dionigi di Alicarnasso, ricordavano l’allattamento di Romolo e Remo da parte di una lupa che da poco aveva partorito. Secondo una leggenda narrata da Ovidio, al tempo di Romolo vi sarebbe stato un lungo periodo di sterilità delle donne. Uomini e donne si recarono in processione fino al bosco sacro di Giunone, ai piedi dell'Esquilino. Attraverso lo stormire delle fronde, la dea rispose che le donne dovevano essere penetrate da un sacro caprone, ma un augure etrusco interpretò l’oracolo nel senso di sacrificare un capro, tagliando dalla sua pelle delle strisce con cui colpire la schiena delle donne; dopo 10 mesi lunari le donne partorirono.
La festa era celebrata da giovani sacerdoti detti Luperci, diretti da un magister, divisi in 2 schiere di 12 membri ciascuna chiamate Luperci Fabiani e Luperci Quinziali; a questi, per un breve periodo, Giulio Cesare aggiunse la terza schiera dei Luperci Iulii, in onore di se stesso. Plutarco riferisce che il giorno dei Lupercalia, erano iniziati 2 nuovi Luperci nella grotta del Lupercale; dopo il sacrificio di capre e, pare, di un cane, i 2 nuovi adepti erano segnati sulla fronte intingendo il coltello sacrificale nel sangue delle capre appena sacrificate. Il sangue veniva quindi asciugato con lana bianca intinta nel latte di capra, al che i 2 ragazzi dovevano ridere. La cerimonia è stata interpretata come atto di morte e rinascita rituale, nel quale la segnatura con il coltello insanguinato rappresenta la morte della precedente condizione profana, mentre la pulitura con il latte e la risata rappresentano invece la rinascita alla nuova condizione sacerdotale. Venivano poi fatte loro indossare le pelli delle capre sacrificate, dalle quali venivano tagliate delle strisce da usare come fruste.

I Lupercalia furono tra le ultime feste pagane celebrate ancora ai tempi dell’espansione del Cristianesimo. In una lettera Gelasio I (492-496) riferisce che a Roma, durante il suo pontificato, si tenevano ancora i Lupercali, sebbene la popolazione fosse da tempo cristiana. Gregorio Magno (540-604) istituì nel 590 la processione della Candelora per scongiurare un’epidemia di peste, la stessa dell’Arcangelo Michele di Castel Sant'Angelo.
