Questo blog è una raccolta disordinata dei miei appunti. Il tema principale è la storia di Roma.
Se passi per da queste parti, ti ringrazio. Se vuoi lascia pure un commento, ma abbi pazienza ... li guardo solo ogni tanto

sabato 26 agosto 2017

Le terme al tempo dei Romani

IL PERCORSO
L’architettura degli impianti rispondeva all'esigenza di unire il percorso termale e l’esercizio, permettendo che il cliente potesse alternare le 2 attività per meglio avvertirne i benefici.


Si depositavano gli abiti nell'apodyterium (spogliatoio), all'ingresso delle terme. Qui uomini e donne, che spesso frequentavano le terme in orari distinti, riponevano gli abiti in armadietti in legno o in nicchie ricavate nelle pareti. Negli spogliatoi c’erano panche lungo il perimetro dove le persone si accomodavano per svestirsi. Quasi tutti gli uomini rimanevano in mutante (subligaculum); le donne portavano una tunica ed un bikini; gli spogliatoi erano divisi per uomini e donne. Le donne portavano una tunica ed un bikini; gli spogliatoi erano divisi per uomini e donne.
Poi, si effettuavano esercizi ginnici nelle palestre, che era il modo migliore per iniziare la giornata alle terme; si sudava molto per dare inizio al processo di purificazione. L’ampiezza degli spazi riservati agli esercizi era tale che i Romani potevano dilettarsi in varie discipline: la più impegnativa era la lotta, in cui gli uomini, rigorosamente nudi, vi si cimentavano dopo essersi cosparsi i corpi di ceroma, olio misto a cera, e di polvere per migliorare le prese contro l’avversario. Vi si giocava a palla in locali appositi (sphaeristeria); si giocava al lancio del giavellotto, del disco, o semplicemente si correva. Le donne giocavano col volano, oppure correvano gareggiando tra loro. La palestra era di solito circondata da portici.

Al termine delle attività ginniche e dei massaggi, per eliminare sudore ed olio, si facevano cospargere di sabbia finissima e poi usavano, per pulirsi, lo strigile, strumento di bronzo o ferro ricurvo. 


I massaggi erano praticati su tavole di marmo; i massaggiatori, in genere erano schiavi specializzati; i ricchi se li portavano da casa, gli altri erano schiavi massaggiatori pubblici.


Poi si andava nella piscina di acqua fredda (natatio), oppure si andava direttamente ai locali termali.

Un altro percorso prevedeva una sosta nel tepidarium, dove si graduava il passaggio di temperatura, per poi passare al calidarium, dove si faceva il bagno caldo, poi dopo una nuova sosta nel tepidarium, si giungeva nel frigidarium, ambiente per i bagni freddi. Un altro percorso prevedeva la successione: tepidarium, laconicum per un bagno di sudore, caldarium, frigidarium.
Per beneficiare degli effetti salutari del percorso, si concludeva con un massaggio e una passeggiata nei viali e nei giardini che circondavano i complessi.

GLI AMBIENTI TERMALI
L’impianto termale è formato ambienti e di installazioni. 

L’apodyterium
L'apodyterium, a pianta rettangolare o quadrata, è la prima sala (non riscaldata) del percorso termale adibita a spogliatoio. 

La palestra
Vi si praticavano giochi e si svolgevano esercizi ginnici. In alcune terme vi erano ambienti specifici, adiacenti alla palestra, chiamati oleoteria e conisteria, ove i frequentatori si ungevano oltre che con l’olio con un unguento a base di olio e cera (ceroma) stando sdraiati su banchi (scamna); sul ceroma potevano spalmarsi sabbia per non sfuggire alle prese dell’avversario durante la lotta. Era una sorta di cortile centrale circondato da portici ove era possibile svolgere esercizi ginnici al riparo. 


Il caldarium
Era la sala adibita al bagno caldo; vi si usavano come calzature una specie di zoccoli di legno, poiché il pavimento era rovente. Vi erano vasche d’acqua calda dove le persone si sedevano per immergersi parzialmente. Aveva una pianta diversa a seconda della grandezza e dell’importanza delle terme; da esempi semplici a pianta rettangolare con un’abside su uno dei lati corti, si passa a piante più complesse con nicchie e absidi. Gli elementi essenziali per lo svolgimento del bagno caldo erano: il sistema di riscaldamento, la vasca per il bagno ad immersione (alveus), la fontana per le abluzioni fredde (labrum). 
L'alveus era in muratura, rivestito di marmo. Il pluteus (parapetto a gradini), un piccolo riparo che si elevava sul pelo dell’acqua, per impedire all'acqua mossa dalle persone che si bagnavano di riversarsi nella sala, era abbastanza spesso. Lungo le pareti della vasca c’erano gradini per permettere ai bagnanti di sedersi. L'alveus era riscaldato dal praefurnium. L’acqua calda proveniente dalla caldaia arrivava nella vasca tramite fistule in piombo; ne defluiva per mezzo di altre fistulae o condutture di terracotta. La continua immissione di acqua calda era ottenuta grazie all'inserimento nella muratura tra alveus e praefurnium di una caldaia (testudo); vi passava l’acqua raffreddata nella vasca, riscaldandosi di nuovo. 
Dopo il bagno caldo era necessario rinfrescarsi; ci si recava all'estremità opposta della stanza, nell'abside, dove era collocato il labrum, una conca rotonda di marmo o di bronzo, posta sopra una base in muratura o di marmo poco incavata con al centro un foro di scarico. Vasche e pavimenti potevano essere rivestiti di lastre di metallo per trattenere il calore.

Il laconicum
Era l’ambiente adibito alla sauna. Il termine era collegato con Sparta, la città laconica simbolo della cultura atletica. Nell'antichità la sauna era nota come mezzo terapeutico decongestionante. Il laconicum ha pianta circolare, con nicchie absidate sia decorative che funzionali. La volta, troncoconica o a calotta, ha un’apertura circolare, il lumen, praticata al culmine e chiusa con un disco di bronzo: il clypeus. Questo disco di bronzo, immediatamente sovrastante alle stufe, concentrava e diffondeva il calore; con un sistema di catene scorrevoli, il clypeus poteva essere abbassato o innalzato per regolare il calore; qui la temperatura poteva arrivare a 60°. 

Il tepidarium
Il tepidarium era un ambiente a temperatura intermedia, sala di passaggio fra gli ambienti ad alta temperatura (laconicum e caldarium) e il frigidarium. Il calore era meno intenso rispetto al laconicum e al caldarium e proveniva dall’hypocaustum e dalle intercapedini lungo i muri. Il tepidarium era usato anche come stanza per unzioni e talora come apodyterium. Il tepidarium serviva a ricondurre l’organismo allo stato normale e prepararlo all'impatto con l’aria esterna. 

Il frigidarium
Il frigidarium era l’ambiente per i bagni freddi. Vi si accedeva, di solito, al termine del percorso termale dopo la sosta nelle sale riscaldate (laconicum, caldarium) e dopo la pausa nel tepidarium, che serviva ad abituare progressivamente il corpo ad una temperatura più rigida. Dopo il bagno caldo ci si bagnava con acqua fredda per detergere il sudore. La forma del frigidarium è varia: circolare, circolare con absidi e rettangolare. All'interno c’era una vasca d’acqua fredda per i bagni ad immersione. 

La natatio
Era la piscina, sempre presente nelle grandi Terme Imperiali di Roma.



Una giornata alle terme

Non si andava alle terme solo per motivi di igiene o per praticare sport, ma anche per incontrare un amico, discutere di affari e di politica, ascoltare musica o leggere un libro nella biblioteca, ove c’erano grandi tavoli di marmo per la lettura. 
Vi si mangiava, si andata dal barbiere per barba e capelli, ci si faceva depilare il corpo, si facevano massaggi. Erano affollate come le piazze, con confusione, voci, suoni, scrosci d’acqua, grida, danzatori, mimi, suonatori; si vendevano stoffe, mobiletti, fiori e amuleti, gioielli e manufatti in legno, vimini, avorio, osso o ambra; vi erano bancarelle di cibo. C'erano spettacoli di mimi, giocolieri, danzatori o suonatori, gratuiti, e sale usate per le feste. Vi si giocava d'azzardo (clandestino), c’erano scommettitori per i giochi gladiatori o per le corse dei cavalli, prostitute e procacciatori d'affari, procuratrici di matrimoni, indovini e fattucchieri di ogni nazionalità. L’acqua necessaria per il funzionamento delle terme era garantita da grandi acquedotti. Le terme di Caracalla (edificate il 212 e il 217) e quelle di Diocleziano (IV secolo) accoglievano fino a 3000 persone.

Il costo d'ingresso era alla portata di tutti: Orazio e Marziale parlano di un quadrante (1/4 di asse). Per usufruire degli spogliatoi si pagava un altro quadrante per la custodia dei vestiti; si pagavano i massaggi, l’olio necessario per questi, l’asciugamano. Entravano gratis i bambini, i soldati e gli schiavi.

Le terme restavano aperte dalla mattina al tramonto sia d’estate che d’inverno. Prima vi era la promiscuità, poi con Adriano furono istituiti percorsi diversi tra maschi e femmine e orari diversi: le donne la mattina, gli uomini il pomeriggio. Vi era il custode d’ingresso e guardiano degli abiti, l'addetto al riscaldamento), il massaggiatore e l’alipilus, cioè l'addetto alla depilazione.

L'IGIENE
Ci si lavava usando cenere di faggio, liscivia, una speciale creta tritata e pietra pomice. La pelle era ammorbidita e idratata con balsami oleosi. Usavano un preparato di farina di fave, usato come sostituto del sapone; se ne faceva uso anche come maschera per la cosmesi del viso, per coprire le rughe del ventre o per eliminare i cattivi odori. Per radersi si usavano acqua e rasoio di ferro temprato o bronzo, poi uno schiavo toglieva con le pinzette i peli superflui.
Gli uomini usavano tingersi i capelli quando cominciano a imbiancare; per la calvizie esistevano i parrucchini, ma se era solo incipiente si mascherava tingendo la cute con tinte più scure, come il nerofumo.
In epoca repubblicana si usava fare un bagno ogni 8 giorni, poi si arrivò ad un bagno al giorno. Alla base del trattamento termale era l’alternanza di caldo e freddo; sottoponendo il corpo a brusche variazioni di temperatura, si sollecitava la circolazione e si riattivava l’organismo; si beneficiava della terapia dopo un’abbondante sudorazione. Ma i medici raccomandavano di non esagerare: non più di un bagno al giorno. Spesso vi erano i malori per gli sbalzi di temperatura ed i traumi per scivolamento; col tempo insorgeva sordità per la crescita di escrescenze nel canale uditivo.

I GIOCHI
Nelle palestre si praticava il salto, la corsa, la lotta, il pugilato, il sollevamento pesi e la scherma. Uomini e donne usavano pesi in piombo e pietra per fare esercizi che rinforzassero braccia e pettorali. Le donne praticavano un gioco fatto di corsa e giravolte chiamato trochus, correvano inseguendo un cerchietto di metallo diretto con un bastoncino detto clavis; il cerchietto aveva anelli che suonando, si apriva la strada.
Le palle per giocare erano di 3 tipi: la pila paganica, riempita di piume; la pila harpasta, riempita di sabbia; la pila follis, riempita d’aria, tramite camere d’aria costituite da budello animale. Seneca parla di un gioco simile alla nostra palla avvelenata, dove questa veniva presa con le mani e subito rilanciata, evitando di farla cadere in terra. 
Si praticava anche una sorta di tennis, ma le racchette erano le mani. Nel Trigon, tre giocatori si disponevano ai vertici di un triangolo disegnato al suolo e lanciavano la palla senza preavviso agli altri giocatori, i quali dovevano colpirla con le mani, ma senza bloccarla; gli schiavi intorno facevano da raccattapalle e tenevano il punteggio. Nell’harpastum, i giocatori trattenevano la palla resistendo alle spinte e agli attacchi degli avversari; si giocava ad una specie di pallavolo con una corda tesa tra due pali a mo' di rete. Ma pochi nuotavano nella natatio (la piscina), perché i Romani, in genere, non sapevano nuotare.


Nelle terme si giocava a dadi, o astragali; per questo gioco si usavano 4 dadi a 4 facce ricavati dagli astragali (ossa del piede) di animali: ogni faccia aveva un valore (1, 3, 4 o 6); la combinazione più ambita era il Colpo di Afrodite che consisteva nell'ottenere, in un solo lancio, tutte facce diverse.

LA TABULA LUSORIA DELLE TERME DI CARACALLA
Tra i passatempi, i Romani usavano giocare tra loro con una specie di "giochi da tavolo". Un esempio è quello descritto nel post "Come giocavano gli antichi Romani", ma nella natatio delle terme di Caracalla ce n'è un altro tipo. 

La disposizione della tabula indica che per giocare ci si sedeva nell'acqua della piscina. Era un gioco molto popolare n allora, detto tropo o gioco delle fossette; ha una serie di concavità e si giocava con pezzetti di marmo, noci o astragali, come il gioco della campana. Il giocatore doveva far cadere le bilie in tutte le cavità, secondo una sequenza prestabilita, fino a raggiungere l’ultima. Era solo un gioco di destrezza, essendo proibito giocare d’azzardo. Alcune tabulae avevano l’ultima concavità di forma rettangolare. Questa tabula ha alcune iscrizioni che non appartenevano al gioco originale, ma potrebbero essere state incise dai giocatori abituali di questo sito. Si distinguono le seguenti parole:
  • NESCIS: Non sai (cioè, “non sai giocare!”)
  • PLORAS: Piangi
  • AGIS: Muoviti
  • CAV(E)BIS: Sii prudente
Forse sono beffe tra gli avversari della partita. Alcune fonti dicono che molte tabulae erano presenti attorno alla piscina, ma resta solo questa.

LE TERME DALLE FONTI CLASSICHE
Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.) abitava sopra un edificio termale, e ne descrive il fracasso: 

che mi venga un colpo se il silenzio, quando uno se ne sta appartato a studiare, è veramente necessario come si pensa. Intorno a me risuonano da ogni parte schiamazzi di tutti i tipi: abito sopra uno stabilimento termale. Immagina ogni genere di fracasso fastidioso: quando i più forti si allenano con i pesi, e faticano o fanno finta di faticare, io sento i loro gemiti; tutte le volte che trattengono il fiato ed espirano, sento sibili; quando capita qualcuno pigro e che si contenta di un normale massaggio, sento le botte delle mani che schiaffeggiano le spalle, e il suono cambia quando battono con le mani di piatto o ricurve. Se poi arrivano quelli che giocano a palla e cominciano a contare i tiri allora è proprio finita. Ora aggiungici il rompiscatole, il ladro colto in flagrante, quello che canta mentre fa il bagno, quelli che fanno i tuffi e che con l'acqua fanno un fracasso indiavolato. E almeno questi hanno voci normali! Pensa all'estetista (alipilum) che per farsi notare parla con la vocetta sottile e stridula, e sta zitto solo quando depila le ascelle costringendo un altro a gridare al suo posto. Poi ci sono le urla del bibitaro, del salsicciaio, del pasticciere e di tutti gli esercenti delle taverne che vendono la loro merce e ognuno modula diversamente la propria voce.

In un epigramma Marziale (40-104 d.C.) ci descrive Menogene intento a procurare vittorie nei giochi, a fare da raccattapalle, a fare continui complimenti, a portare aperitivi, ad asciugare il sudore della fronte, fino ad esasperare il destinatario delle sue fastidiose premure: quest’ultimo, alla fine, non avrà altra scelta, pur di farlo smettere, che invitarlo a cena. 

Nelle terme e nei pressi dei bagni pubblici non è possibile sfuggire a Menogene. Afferrerà con la destra e con la sinistra la palla tiepida, per attribuire spesso a te le palle prese. Anche se sarà già lavato e già calzato, raccoglierà dalla polvere e ti riporterà il molle pallone. Se prenderai un asciugamano, dirà che è più candido della neve, sebbene sia più sporco del bavaglino di un bimbo. Se ti acconci i pochi capelli con il pettine, dirà che hai messo in ordine la chioma di Achille. Ti porterà lui stesso un aperitivo ricavato dalla feccia di una brocca affumicata e raccoglierà di continuo il sudore della tua fronte. Loderà tutto, ammirerà tutto, finché tu non gli dica, dopo aver sopportato mille fastidiose attenzioni: "Vieni a cena!". 

Marziale si riferisce al gioco del triangolo o della palla a tre, che si diffuse sotto l’Impero: prevedeva l’intervento di 3 giocatori, che occupavano i vertici di un triangolo; consisteva nel lanciarsi contemporaneamente più palle, cercando di non farle cadere e di mettere in difficoltà gli avversari. Menogene fa tutto il possibile perché sia attribuita la vittoria al malcapitato da cui cerca di farsi invitare a cena.

Infine, si racconta che Adriano scorse un suo ex veterano in pensione che si strofinava la schiena contro la parete della piscina. Interrogato sul motivo il veterano confessò di non potersi permettere uno schiavo che lo massaggiasse, al che Adriano gli dette una cospicua somma di denaro per le necessità. Ciò dimostra che nelle terme non c'era distinzione tra poveri e ricchi, visto che un imperatore poteva accadere che usufruisse delle stesse terme di tutti. 

mercoledì 23 agosto 2017

Le passeggiate Romane: Santa Maria in Cappella in Trastevere


Inizia un ciclo di passeggiate romane che racconteranno la storia e le storie di alcuni luoghi che, forse, non tutti conoscono.

Nella prima tappa visiteremo la chiesetta di Santa Maria in Cappella in Trastevere, con annesso Ospizio di Santa Francesca Romana, con il rischio di incontrare Donna Olimpia Maidalchini ... a proposito, evitate di passare per Ponte Sisto il 7 gennaio di notte, potreste incontrare il suo fantasma a bordo di una carrozza antica, mentre si reca nei suoi "Bagni" (i Bagni di Donna Olimpia, appunto).

Iniziamo con l'identificare la zona nel periodo antico:


La chiesetta ha annesso un piccolo museo e, da poco tempo, sono accessibili gli ambienti del 1° piano facenti parte dell'Ospizio di proprietà dei Doria Pamphilj.

Il nome della chiesa

La dedica è del 1090, durante il pontificato di Urbano II (1088-1099) con il nome di S. Maria ad pineam, come riportato sull'epigrafe, un cui passo recita: que appella(tur) ad Pinea(m): appella, male interpretato, divenne cappella.

La traduzione della lapide dedicatoria:


Nell'anno del Signore 1090, indicazione XIII, mese di marzo, giorno 25, è dedicata
questa chiesa a Santa Maria che viene detta presso la pigna, dai vescovi Ubaldo
Sabino e Giovanni da Tuscolo al tempo del Signor papa Urbano II,
ove sono le reliquie degli abiti di Santa Maria Vergine, le reliquie di San Pietro
apostolo di papa Cornelio di papa Callisto di papa Felice di Ippolito martire Ana
stasio martire Melix Marmenia martire 
O Cristo Redentore dai a Damaso la vita dopo la morte

Dal XII secolo è detta In Capella; nel tardo Medio Evo diventa In Cappella, che potrebbe derivare da Cappella Papalis (sede temporanea del concistoro papale), a cui potrebbe riferirsi il residuo di cattedra episcopale del trapezoforo. Pinea (dal latino, pigna) può riferirsi anche ai monconi dei pilastri del ponte di epoca imperiale, assonante con pinna e pinea. La chiesa prese il nome attuale nel XV secolo, quando divenne sede della Confraternita dei Barillari, fabbricanti di cupelle, barili. 
La chiesa e la sua storia
Alla chiesa si accede da un cortile; come si evince dalle strutture murarie, nasce già a 3 navate; la soglia che si scorge nella navata destra potrebbe indicare il livello originario del calpestio; le navate hanno 5 colonne di spoglio per lato. L'aspetto e le decorazioni appartengono all'ultimo restauro ottocentesco. A destra si eleva il campanile romanico del XII sec in laterizio.

Un documento ricorda la consacrazione di un altare, l'8 marzo 1113, da parte dei vescovi di Sabina, Palestrina, Ascoli e Tivoli. Nei secoli successivi le notizie sono sempre più rare; cadde in abbandono e per motivi statici furono chiuse le navate laterali. Nel 1391 la chiesa fu restaurata da Andreozzo Ponziani, suocero di Francesca Romana, che nel 1391, nella navata destra (attualmente è stato ricostruita una piccola corsia di letti nella navata di sinistra, ma è solo una deroga, in quanto nella navata destra vi sono gli scavi), fondò l'Ospedale del SS. Salvatore; alla sua morte (1401) Francesca si prese cura dell'ospedale. Dopo la morte di Francesca (1440), il complesso passò in eredità alle monache di Tor de' Specchi, che nel 1450 lo concessero alla Confraternita dei Barillari.

Il complesso decadde fino a quando Innocenzo X (1653) ne affidò le cure ad Olimpia Maidalchini, sua cognata; Donna Olimpia, devota di Francesca Romana, acquistò case, torri, granai e luoghi di pesca attorno all’edificio, ottenendo dal cognato Innocenzo X pieni poteri sulla chiesetta. Fu costruito un casino belvedere con un giardino di delizie con essenze rare, viti e piante da frutto, specie agrumi: fu chiamato il parco dei Bagni di Donna Olimpia.

Dopo la morte del figlio di Olimpia, Camillo, la casa cadde in declino e nei secoli seguenti la proprietà fu affidata a vari affittuari.

Nel 1678 la proprietà fu locata a Francesco Maidalchini, nipote di Olimpia. Nel 1760 i beni passarono ai Doria Pamphilj.

Nel 1796 Andrea IV Doria Pamphilj diede in uso la chiesa alla Pia Unione di S. Paolo Apostolo delle genti, a vantaggio spirituale dei marinai che la restaurarono.

Nel 1847 Carlo Doria Pamphilj lasciò 70.000 scudi per creare 12 posti letto per i malati cronici. Nel 1857 Filippo Andrea V destinò il lascito dello zio Carlo alla proprietà di Ripa. Andrea Busiri Vici progettò due edifici in stile neoclassico, con al centro una cappella che separa i due reparti per uomini e donne: nasce l’Ospedale dei Cronici, aperto nel 1859, attivo ancora oggi con il nome di Casa di riposo S. Francesca Romana, con 18 infermi e 4 suore della Congregazione delle Figlie della Carità di S. Vincenzo de’ Paoli. Nel 1858 la Pia Unione di S. Paolo lasciò gli spazi perché l’istituzione dell’ospedale gli impediva di svolgere le sue funzioni (assistenza ai marinai).

L'interno della chiesetta fu decorato  da Annibale Angelini e non rimase nulla della decorazione medioevale. Nel 1880-1892, Andrea Busiri Vici ripristinò le navate: la navata di sinistra fu interamente riedificata. Nella ristrutturazione fu dipinta nel protiro una Madonna con Bambino tra 2 pini, sostituito nel 1966 con l’attuale rilievo marmoreo. Furono aperte 3 grandi finestre, ridotto l’altare maggiore e la balaustra, rinnovato il pulpito ed il pavimento. Per l’apertura dei muraglioni del Tevere, Busiri Vici ridisegnò il fronte verso il Tevere abbattendo il Casino e le logge; ridisegnò il fronte con due corpi simmetrici inframezzati da un arco centrale. I ricoverati divennero 100, fu inaugurata una scuola per fanciulle povere con un laboratorio di ricamo e cucito; fu creato anche un nido e un asilo per bambini, una scuola e un doposcuola. Nel 1917 fu rinominato in Ospizio di S. Francesca Romana e, dal 1971, in Casa di Riposo di S. Francesca Romana.

I reperti principali: altare dell'Agnus Dei


L’altare in marmo in alto ospita il reliquiario. Davanti l’Agnus Dei con croce greca astile, dietro c’è una croce patente. L’altare è del XI-XII secolo, dedicato nel 1113 da Pasquale II. La cassetta reliquiario in piombo è dei primi decenni del XII secolo, rinvenuta nell'incasso dell’altare e contenente due piccole olle con le reliquie dei SS. Cornelio, Pietro apostolo, Anastasio, Melix, Ippolito e Marmenia, come riportato nelle iscrizioni e nella lapide dedicatoria della chiesa.

I reperti principali: la croce di Borromini


Vicino alla lapide dedicatoria, è stata recentemente posta una croce proveniente dalla Basilica di S. Pietro. Protagonisti della vicenda: Urbano VIII, Innocenzo X, Francesco Borromini, Giovanni Battista Calandra e Olimpia Maidalchini. Nell'Archivio della Fabbrica di S. Pietro fu trovato un documento secondo cui nel 1625 Urbano VIII affidò i lavori di sistemazione della Porta Santa al giovane Borromini (1599-1667). L’artista aveva progettato la decorazione della porta e la croce esterna che ne doveva suggellare la chiusura, in marmo giallo, con al centro una piccola croce rossa, profilo rosso, listelli bianchi, decorata con 5 api (simbolo dei Barberini), un sole in cima e due rami di ulivo ai piedi.

I documenti dicono che le parti marmoree della montatura e della piccola croce nel centro sono di Francesco Borromini (1599-1667), i mosaici sono di Giovanni Battista Calandra (1586-1644). Per ritrovare la croce fu inviata alle famiglie nobili romane una lettera chiedendo se avessero nelle loro proprietà e cappelle private oggetti e decori in mosaico minuto. Rispose la famiglia Pamphilj segnalando che nella chiesina di S. Maria in Cappella di loro proprietà vi era una croce simile. Risultò essere quella della chiusura del Giubileo del 1625. La sua presenza in S. Maria in Cappella si lega a Donna Olimpia: quando Innocenzo X riaprì la porta santa per il giubileo del 1649, ruppe il sigillo e donò la croce al Card. Francesco Maidalchini, nipote di Olimpia. Le cronache ricordano che Olimpia pretese e ottenne di essere in prima fila, accanto al papa, all'apertura della Porta Santa nel 1650, con scandalo epocale, e forse fu in quell'occasione che vide la croce.

Per concludere
Alla chiesa sono legati molti eventi: scismi e concili ecumenici (Scisma d'Occidente e Piccolo Scisma), le figure di Francesca Romana e di Donna Olimpia. Inoltre, come appendice, nella lapide dedicatoria si fa riferimento Indictio XIII: era un modo medievale per suggellare le date importanti. Per ciascuno di questi argomenti, si rimanda ad altre sezioni del sito.

Grazie per la pazienza!