Questo blog è una raccolta disordinata dei miei appunti. Il tema principale è la storia di Roma.
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giovedì 1 giugno 2017

Roma arcaica: Fauno ed i Lupercali

Tutto inizia da Saturno, dio della semina, fondatore e protettore dell’agricoltura. Quando le idee greche penetrarono in Roma, il dio fu identificato con Crono; sorse allora la leggenda che, provato del trono da Giove, dopo lungo peregrinare, fosse giunto nel Lazio per nascondersi (Lazio deriva dal latere, nascondersi). Fu accolto da Giano ed ebbe la sua sede sul Campidoglio. Unì gli uomini in sedi fisse e regnò su di loro per lungo tempo (Età dell’Oro). Il suo culto è antichissimo e un tempio era ai piedi del Campidoglio; in una camera del tempio si custodiva il tesoro dello stato (Aerarium). La festa in suo onore erano i Saturnalia (dal 17 al 19 dicembre); in quei giorni si allegria si ricordava l’Età dell’Oro, decadevano le differenze di ordine sociale, tacevano i tribunali e le scuole, le botteghe rimanevano chiuse, si facevano scherzi e si permetteva ogni licenza.


Fauno è il dio propizio (dal Latino faveo), per i Romani, è affine a Pan; è il genio benefico della campagna, del bestiame e dei monti; era il fecondatore delle greggi, il protettore dai lupi. Si diceva che di notte penetrasse nelle case e suscitasse cattivi sogni: era chiamato anche Incubus poiché si diceva che giacesse sopra le donne (dal Latino incubare, il cubiculum era la camera da letto).

Il Fauno dei Musei Capitolini

Prediceva il futuro tramite i sogni e i segni della natura (Fatuus deriva da Fari, parlare). A Fauno si associa Fauna, detta anche la Bona Dea o Maia, la dea che accresce i prodotti della terra e, quindi, la ricchezza degli uomini. Ad esso è associato Luperco. Fauno fu uno dei re Aborigeni, successore di Saturno e di Pico:


IL LUPERCALE
Luperco era una divinità pastorale, protettrice della fertilità che, nel tempo, fu assimilato alla figura di Fauno. Era il protettore del bestiame ovino e caprino dall'attacco dei lupi. Era anche un genio benefico dei monti. Fauno aveva anche una sorella Fauna, la Bona Dea, cioè colei che accresce i prodotti della terra e la ricchezza degli uomini.

La grotta alla base del Palatino, ove la lupa avrebbe allattato i gemelli, divenne un luogo sacro (Lupercale) da dove partivano manifestazioni religiose (Lupercalia) che proseguirono durante l’impero. Il Lupercale era anche la grotta del Palatino che Evandro (forse il nome originale del sito era Lycaion), accolto benignamente dal re degli Aborigeni Fauno, consacrò a Pan-Fauno-Luperco. Il Lycaion-Lupercale, come lo descrive Dionigi di Alicarnasso (Antichità Romane, 60 a.C.-7 a.C.) era costituito da un bosco, una grotta scavata nel dirupo tufaceo da cui sgorgava una fonte, un recinto che ospitava l’altare dedicato a Fauno, la ficus ruminalis (Rumina era la dea della nutrizione) e una piccola grotta contenente una statua bronzea della lupa che allatta i gemelli: proprio in questa piccola grotta avvenne la salvazione dalle acque e l’esposizione (epifania significa apparizione, rivelazione) dei gemelli ai pastori ed al porcaro Faustolo.

I LUPERCALIA
I Lupercalia erano festeggiati dal 13 al 15 febbraio, culmine dell’inverno nel quale i lupi affamati si avvicinavano agli ovili minacciando le greggi. Secondo Plutarco erano riti di purificazione, d’altra parte Il mese di febbraio deriva dal Latino februare, purificare. Per Dionigi di Alicarnasso, ricordavano l’allattamento di Romolo e Remo da parte di una lupa che da poco aveva partorito. Secondo una leggenda narrata da Ovidio, al tempo di Romolo vi sarebbe stato un lungo periodo di sterilità delle donne. Uomini e donne si recarono in processione fino al bosco sacro di Giunone, ai piedi dell'Esquilino. Attraverso lo stormire delle fronde, la dea rispose che le donne dovevano essere penetrate da un sacro caprone, ma un augure etrusco interpretò l’oracolo nel senso di sacrificare un capro, tagliando dalla sua pelle delle strisce con cui colpire la schiena delle donne; dopo 10 mesi lunari le donne partorirono.

La festa era celebrata da giovani sacerdoti detti Luperci, diretti da un magister, divisi in 2 schiere di 12 membri ciascuna chiamate Luperci Fabiani e Luperci Quinziali; a questi, per un breve periodo, Giulio Cesare aggiunse la terza schiera dei Luperci Iulii, in onore di se stesso. Plutarco riferisce che il giorno dei Lupercalia, erano iniziati 2 nuovi Luperci nella grotta del Lupercale; dopo il sacrificio di capre e, pare, di un cane, i 2 nuovi adepti erano segnati sulla fronte intingendo il coltello sacrificale nel sangue delle capre appena sacrificate. Il sangue veniva quindi asciugato con lana bianca intinta nel latte di capra, al che i 2 ragazzi dovevano ridere. La cerimonia è stata interpretata come atto di morte e rinascita rituale, nel quale la segnatura con il coltello insanguinato rappresenta la morte della precedente condizione profana, mentre la pulitura con il latte e la risata rappresentano invece la rinascita alla nuova condizione sacerdotale. Venivano poi fatte loro indossare le pelli delle capre sacrificate, dalle quali venivano tagliate delle strisce da usare come fruste.

Dopo un pasto abbondante, i Luperci, compresi i 2 nuovi iniziati, correvano intorno al Palatino seminudi, con le membra spalmate di grasso e una maschera di fango sulla faccia; intorno alle anche portavano una pelle di capra ricavata dalle vittime sacrificate nel Lupercale. Saltavano e colpivano con le fruste il suolo, per favorirne la fertilità, e chiunque incontrassero, specie le donne; queste, in origine, offrivano volontariamente il ventre per ottenere la fecondità, ma al tempo di Giovenale, ai colpi di frusta tendevano solo le palme delle mani. In questa seconda parte della festa i Luperci erano contemporaneamente capri e lupi: erano capri quando infondevano la fertilità dell’animale (considerato sessualmente potente) alla terra e alle donne attraverso la frusta, mentre erano lupi nel loro percorso intorno al Palatino. La corsa intorno al colle doveva essere intesa come un invisibile recinto magico creato dagli scongiuri dei pastori primitivi a protezione dei greggi dall'attacco dei lupi; la stessa offerta del capro avrebbe dovuto placare la fame dei lupi assalitori. Era quindi una cerimonia di espiazione che donava prosperità e fortuna; le donne sterili si offrivano alle sferzate per guarire.

I Lupercalia furono tra le ultime feste pagane celebrate ancora ai tempi dell’espansione del Cristianesimo. In una lettera Gelasio I (492-496) riferisce che a Roma, durante il suo pontificato, si tenevano ancora i Lupercali, sebbene la popolazione fosse da tempo cristiana. Gregorio Magno (540-604) istituì nel 590 la processione della Candelora per scongiurare un’epidemia di peste, la stessa dell’Arcangelo Michele di Castel Sant'Angelo.

Il Venerabile Beda (monaco benedettino inglese, fine VII-inizio VIII secolo) mise in relazione i Lupercalia del 15 febbraio con la processione della Candelora  festeggiata il 2 febbraio, ma che in oriente era festeggiata il 14 del mese; la Candelora è la festa della Presentazione al Tempio di Gesù; la festa è anche chiamata Purificazione della Beata Vergine Maria. È incerta l'etimologia della parola Lupercalia; forse è composto dalle parole lupus e arcere (tenere lontano).